A Milton Erickson, psichiatra statunitense e teorico dell’ipnosi clinica, si deve l’intuizione che gli strati di trance non sono fenomeni straordinari ma eventi piuttosto frequenti e comuni a tutte le persone. Per l’ipnosi secondo Erickson non c’è bisogno di una trance profonda! Poche persone riescono a raggiungerla…L’ideale è una trance lieve, che già sperimentiamo normalmente nel quotidiano, come quando siamo assorti in un compito interessante.
L’ipnosi ericksoniana ridefinisce il rapporto terapeuta-paziente: mentre nell’ipnosi tradizionale il rapporto terapeutico è fortemente asimmetrico, con un ipnotista spesso autoritario e direttivo e un soggetto passivo, nel metodo ipnotico messo a punto da Milton Erickson è essenziale che tra terapeuta e paziente si crei una relazione simmetrica di reciproco rispetto e collaborazione. È un momento di dialogo tra inconsci.
Nell’ipnosi ericksoniana il conduttore deve adeguare la sua azione alle peculiarità del soggetto, facendo leva sulle risorse e gli strumenti che quella specifica persona possiede già dentro di sé e che un leggero stato di trance contribuisce a riattivare.
Spesso durante questi viaggi di scoperta dentro noi stessi viene utilizzato un linguaggio metaforico, perchè permette alle persone di interpretare liberamente quello che dice il conduttore secondo i propri obiettivi e all’interno del proprio contesto di valori, in modo da ritrovare dentro di sé le risorse che il conduttore gli ricorda di avere.
L’ipnosi ericksoniana è tesa al risultato e focalizzata sul presente e sul futuro; non si sofferma sulle radici profonde del malessere, ma interviene sulle sue manifestazioni. I problemi sono letti come una risposta, ormai inadeguata e disfunzionale, a uno stimolo esterno, e spesso aggiustando un semplice tassello, si genera una reazione a catena positiva che facilita l’emancipazione da altre fonti di disagio.
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